Quattro anni dal rogo di via Toscana, il primo soccorritore: “Quella tragedia la sogno tutte le notti”

Leonardo Tuci, volontario dell’Associazione nazionale carabinieri in congedo, fu il primo ad arrivare davanti al capannone in fiamme della confezione Teresa Moda. Il ricordo è vivo, come se fosse passato solo un giorno: “Tirai fuori un uomo e una donna, io avevo solo una vaga idea di quello che stava accadendo ma loro che erano dentro sapevano già tutto”.
Due anni dal rogo di via Toscana, il primo soccorritore: “Quella tragedia la sogno tutte le notti”

 

Sono passati due anni dalla tragedia di via Toscana. Un capannone ingoiato dal fuoco con tutto quello che c’era dentro: macchine da lavoro, rotoli di tessuto, suppellettili. E persone. Sette operai della confezione Teresa Moda che quella mattina, una domenica come tante, erano ancora sotto le coperte, nelle stanzette del soppalco di legno compensato ricavate sul lato destro, in alto, nascoste dietro una parete di cartongesso. Leonardo Tuci, volontario dell’Associazione nazionale carabinieri in congedo, fu il primo ad arrivare. Mancavano pochi minuti alle sette. “Abito non lontano da via Toscana, quella mattina sono uscito presto e mi sono accorto di una colonna di fumo nerissima che si alzava verso il cielo. Sono salito in macchina, ho seguito il fumo e sono arrivato in via Toscana. Lì ho visto l’inferno e ho chiamato i soccorsi”. Il ricordo è nitido e ancora oggi spezza la voce di Leonardo Tuci che fa fatica a trattenere le lacrime. “Il fuoco era altissimo, nel piazzale una cinese disperata mi urlava che in quel capannone c’erano tanti cinesi che dormivano. Ne ho tirati fuori due, un uomo e una donna che erano molto vicini al portone d’ingresso”. L’uomo è l’unico operaio sopravvissuto: “Era come un fantasma, tutto bagnato e completamente annerito. Aveva in mano l’idrante, gliel’ho strappato e ho visto una smorfia di dolore e mi sono accorto che aveva le mani e le braccia bruciate. L’ho tirato fuori e oggi mi sento di dire che se non fosse andata così sarebbe morto anche lui”.

Due vite salvate, ma dentro ce ne sono altre e Tuci lo sa. “La cinese continuava a pregarmi di entrare e io più volte ci ho provato ma il fuoco era praticamente a un passo da me. Nello stesso istante sentivo il pianto della cinese, urla provenire da dentro, il rumore come di crolli o di pareti schiantate. Poi il frastuono di un vetro rotto, ho alzato la testa e ho visto il braccio di una persona incastrato nell’inferriata. Ho saputo dopo che quella persona, un uomo, è stata tra le prime a morire. La sua immagine ce l’ho sempre davanti agli occhi, è per lui e per le altre povere vittime che ogni domenica vado in chiesa e faccio la comunione”.

 

Leonardo Tuci, in quegli attimi interminabili, ha fatto tutto quello che ha potuto. Tutto. E si dispera oggi. E si chiede se qualche altra vita poteva essere salvata. “Ho anche bagnato il mio passamontagna per provare ad addentrarmi e resistere qualche attimo in più al fumo soffocante – continua – ma non è stato proprio possibile”. Nella concitazione non è facile agire.  Il primo dicembre 2013 è cambiata la vita di questo volontario. Leonardo Tuci quelle scene le sogna ogni notte. “Mi ricordo di aver abbracciato quel povero cinese che con l’idrante cercava di fare l’impossibile, mi ricordo di averlo accompagnato in una delle macchine della polizia e di averlo confortato. Io avevo una vaga idea della dimensione della tragedia ma lui che era dentro il capannone sapeva già tutto. Era atterrito”. I funerali delle sette vittime sono stati celebrati il 21 giugno dello scorso anno; piazzale Ebensee sgomberato per l’occasione e trasformato in un luogo di culto.

 

Leonardo Tuci è stato tra i primi ad arrivare davanti alle bare: “Avevo con me un fiore bianco che lo lasciato sulla bara di quell’operaio che spaccò la finestra sperando nella salvezza ma che si trovò davanti le sbarre di ferro. Non sarà facile dimenticare quel primo dicembre, forse non ci riuscirò mai, anzi so che è così. Una tragedia che fa parte della mia vita”.